Tredici morti nella rivolta delle carceri, sono passati molti giorni, nessuno ne ha parlato né ne parla, il ministro avvolto in un silenzio semplicemente spregevole. Ma che importa? C’è la pandemia, che si vuole che interessino tredici morti nelle carceri di Stato? Dove la rivolta era contro le impossibili condizioni di vita, vite una a ridosso dell’altra, affollate in piccole celle indegne dell’umanità, sempre, terribili per il rischio di contagio oggi. Che importano?
Moltissimo importano, dovevano essere uno dei cuori del discorso pubblico, non dei farfugliamenti del Conte, che non oso chiamare, pur se lo è, Presidente del Consiglio della nostra nazione, parole in libertà, che appaiono quasi irridenti nella loro vuotaggine, indice di una testa vuota; parole oggi ben raccontate in un articolo amarissimo del Presidente dell’unione delle camere penali Domenico Caiazza su “Il Riformista”. Da leggere e conservare.
Nulla da aggiungere, se non il senso di una completa dispersione di civiltà, proprio di quella civiltà che l’eccezione che viviamo deve tener ben ferma. Altrimenti si può essere indotti a pensare che “l’occasione” della pandemia non faccia esplodere in modo incontrollato quella cultura inoculata in questi anni da un grillismo diventato governo nel totale vuoto del Partito democratico: abbraccio con la Cina, poltronisti i parlamentari, populismo d’accatto estraneo alla civiltà del diritto.
P.S: In realtà non è esatto che nessuno parla del dramma vissuto nelle carceri di Stato italiane con i tredici morti tra i detenuti in rivolta. Ne parla in modo costante e continuo soprattutto Italia Viva, ne parlano Matteo Renzi, Gennaro Migliore, Roberto Giachetti, per citare i più attivi. Va dato atto di questo, con l’augurio che la battaglia continui anche dopo, soprattutto dopo le dichiarazioni vuote e squallide del ministro, si fa per dire, Bonafede.