Che il trumpismo sopravviva a Trump è opinione abbastanza diffusa, ma le ragioni di questa affermazione, che mi pare difficilmente contestabile, vanno ancora riprese e rafforzate. L’assalto al Congresso americano di qualche giorno fa è la manifestazione più grave della crisi che attraversa la democrazia rappresentativa e costituzionale, e il tema riguarda l’Occidente che la ha creata. Che la cosa sia accaduta nel Parlamento della più grande democrazia del mondo indica la temperatura altissima di questa crisi: la democrazia ha il coraggio, e quasi la presunzione, di portare all’estremo la propria conflittualità. Quando è intaccato l’apice di un fenomeno, vuol dire che tutto il suo corpo, tutta la sua organizzazione diffusa nel mondo oltre quell’apice, sta mettendo in discussione la propria natura. C’è qualcosa che lo svuota dall’interno. La rappresentanza politica si allontana sempre più dalla rappresentazione che la società occidentale offre di sé stessa, tracce forti si intravedono anche in Europa. Il conflitto tende a oltrepassare i suoi confini consolidati.
La sconfitta di Trump è l’annuncio evidente dell’inizio di una lotta; come la vittoria di Biden indica che la democrazia rappresentativa offre una forte, prevedibile resistenza. Due Americhe sono schierate una contro l’altra. La lotta sarà lunga, il risultato non sarà la vittoria di una delle due Americhe sull’altra, ma avrà come risultato processuale, in tempi lunghi, un mutamento tale nelle forme politico-istituzionali dell’America e del suo ruolo mondiale da escludere un ritorno della sua fisionomia storicamente consolidata.
In quale direzione? Si può forse intravedere l’orizzonte di una forma del tutto nuova di isolazionismo, come risposta dell’America alla propria formidabile scissione interna, e alla nuova geo-politica mondiale fatta da grandi potenze vocate a un decisionismo con immanente tendenza conflittuale. Conflitto che muterà dal fondo i tratti di una parola come “Occidente” e collocherà nella memoria i tratti prevalenti della sua costituzione materiale. Insomma, la forma del mondo dopo la fine della globalizzazione come conosciuta fino a prima di Trump e della crisi finanziaria del 2008.
Pigliatela come la visione di un astrologo.
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